Il divieto di conferire incarichi a pensionati si applica solamente agli incarichi dirigenziali,
di studio e di consulenza, senza estensioni analogiche. E’ quanto leggiamo nelle
deliberazioni della sezione regionale di controllo della Corte dei Conti della Toscana n. 22
e 23 del 2024, che peraltro affermano la incompetenza della magistratura contabile ad
esprime pareri sulle scelte concrete degli enti.
Leggiamo in ambedue le deliberazioni che “la Corte dei Conti —Sezione Centrale del
Controllo di legittimità sugli atti del Governo, con deliberazione n. 23/2014, ha circoscritto il
divieto agli incarichi di studio e consulenza (oltre che agli incarichi dirigenziali) senza che
lo stesso divieto possa essere esteso ad ulteriori fattispecie, ricorrendo all’analogia, in
quanto norma limitatrice e, pertanto da valutare secondo il criterio della stretta
interpretazione enunciato dall’39;art. 14 delle preleggi. Nella stessa direzione la Sezione
Regionale di Controllo per il Lazio con deliberazione n. 133 del 2023 ha ritenuto che possa
ritenersi consentita un’attività di assistenza che non comporti studio e consulenza ossia
attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche e che non
rientri nelle ipotesi di contratto d’opera individuale di cui agli artt. 1229 e seguenti del
codice civile (anche SRC Lombardia, del. n. 126/2022). Ed ancora, la Sezione Controllo
Regionale Basilicata, con la deliberazione n. 62 del 2023, ha specificato la natura
tassativa del divieto di cui all’art. 5, co. 9, del D.L. 95/2012. La Circolare n. 6/2014 del
Ministro per la  Pubblica Amministrazione evidenzia espressamente come la disciplina
disposta dalla citata normativa ponga puntuali norme di divieto, per le quali vale il criterio
di stretta interpretazione ed è esclusa l’interpretazione estensiva o analogica, motivo per
cui gli incarichi vietati sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di
consulenza incarichi dirigenziali o direttivi. Secondo la circolare un’39;interpretazione
estensiva dei divieti in esame potrebbe determinare un’irragionevole compressione dei
diritti dei soggetti in quiescenza, in violazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza
costituzionale".