La riduzione delle risorse stanziate per la retribuzione delle posizioni organizzative può
essere applicata dagli enti solamente in via eccezionale e comunque nel rispetto della
soglia minima fissata dal contratto nazionale: è quanto ci dice la sentenza della sezione
lavoro della Corte di Cassazione n. 30097/2023.
Si deve ritenere che l’individuazione del carattere di specificità del motivo di appello
debba essere ispirata ad un principio di simmetria, nel senso che quanto più approfondite
e dettagliate risultano le argomentazioni del giudice di primo grado, anche in rapporto agli
argomenti spesi dalle parti nelle loro difese, altrettanto puntuali debbano profilarsi le
argomentazioni logico giuridiche utilizzate dall’appellante per confutare l’impianto
motivazionale del giudice di prime cure”.
Leggiamo inoltre che appare illegittima la scelta, con riferimento alla indennità di
posizione, dell’ente “della decurtazione per omessa preventiva valutazione e pesatura
della posizione organizzativa, immotivata disparità di trattamento rispetto ad altri
responsabili dell’Ente e divieto di taglio lineare della retribuzione di posizione”.
Ed ancora “gli oneri della retribuzione di posizione sono determinati nell’ambito delle
risorse finanziarie previste dai Comuni a carico dei rispettivi bilanci; ne consegue che nel
caso in cui il Comune versi in una situazione deficitaria è giustificata la riduzione della
retribuzione di posizione, purchè tale riduzione avvenga nel rispetto dei limiti minimi”.
Il dettato contrattuale disciplina le regole da applicare sulle relazioni sindacali e, nei
comuni in cui questo compenso è direttamente a carico del bilancio dell’ente (nda fino al
CCNL 21.5.2018 i comuni privi di dirigente), limita fortemente la necessità del ricorso alla
contrattazione collettiva decentrata integrativa.