Le amministrazioni pubbliche non sono tenute a concedere il prolungamento senza
retribuzione fino ad ulteriori 18 mesi del periodo di comporto in assenza di una richiesta
del dipendente. E’ questa la indicazione contenuta nel parere Aran CFL 144.
La materia è disciplinata dall’articolo 36 del CCNL 21.5.2018, per il quale “conclusosi il
periodo di comporto stabilito dal primo comma (nda assenza fino a 18 mesi nell’arco del
triennio precedente con una retribuzione differenziata, intera per i primi 9 mesi, 90% per
altri 3 mesi e 50% per i restanti 6 mesi), viene meno il divieto di licenziamento del
lavoratore per malattia ed il datore di lavoro pubblico può procedere alla risoluzione del
rapporto di lavoro, adducendo a giustificazione solo e soltanto la circostanza dell’avvenuto
superamento del periodo massimo di conservazione del posto”. La norma consente al
lavoratore di chiedere il prolungamento del diritto alla conservazione del posto di lavoro
per un periodo massimo di ulteriori 18 mesi, senza retribuzione. Nella disposizione
contrattuale viene stabilito che l’ente, a fronte della richiesta del dipendente, deve dare
corso “all’accertamento delle condizioni di salute” dello stesso.
Il parere ci dice espressamente che “la concessione dell’ulteriore periodo di assenza non
retribuita è disposta dal datore di lavoro su richiesta del dipendente. Poiché, nel CCNL non
è prevista l’ipotesi di concessione dell’ulteriore periodo di 18 mesi in assenza della
richiesta del lavoratore, la scrivente Agenzia non ritiene di poter esprimere alcuna
valutazione in merito alle scelte che l’ente intenda adottare, quanto alla conservazione del
posto attraverso la concessione dell’ulteriore periodo di assenza non retribuito o al
contrario alla risoluzione del rapporto di lavoro. Nel caso di specie, la valutazione del
bilanciamento dei concorrenti interessi delle parti (del lavoratore alla conservazione del
posto e del datore di lavoro a ricevere una prestazione utile) lo può fare solo codesto Ente
nell’ambito delle proprie prerogative datoriali”.
Viene infine richiamato dal parere la ordinanza della sezione lavoro della Corte di
Cassazione n. 18960/2020.