I regolamenti delle amministrazioni pubbliche sulla ripartizione dei compensi per la
incentivazione degli avvocati dipendenti e dirigenti devono disciplinare le modalità di
ripartizione sulla base del rendimento individuale da misurare utilizzando criteri oggettivi.
Sono queste le indicazioni di maggiore rilievo dettate dalla sentenza della quinta sezione
del Consiglio di Stato n. 18/2025.
Leggiamo che “l’art. 9 comma 5 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito in
legge 11 agosto 2014, n. 114 concretizza il principio secondo cui l’autonomia professionale
e indipendenza che devono caratterizzare l’operato degli avvocati dipendenti di Enti
pubblici non impedisce che gli enti valutino le relative prestazioni, purché tale attività
valutativa sia svolta secondo necessari canoni di oggettività, terzietà e indipendenza.  Gli
indicatori definiti per la valutazione delle prestazioni, allo scopo di ripartire i compensi, ben
possono misurare la tempistica degli adempimenti e di per sé non sono tali da incidere
sulle scelte tecnico defensionali proprie dell’avvocato o sulle altre prerogative sulle quali si
misura in concreto l’autonomia e l’indipendenza nell’esercizio dell’attività professionale”.
Nel merito, ci viene detto che deve essere ritenuta illegittima una norma regolamentare
che stabilisca “in modo generico la ripartizione delle somme recuperate in proporzione alla
produttività, con tre criteri di decurtazione per tre tipologie di negligenze professionali:
inosservanza di termini processuali, mancata partecipazione a udienze, scarsa efficacia
della difesa in giudizio”. Di conseguenza, occorre che il regolamento dell’ente detti “un
criterio di misurazione del rendimento individuale con conseguente violazione dell’art. 9
comma 5 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 che prevede che i criteri siano
oggettivamente misurabili”.