La inconferibilità degli incarichi dirigenziali si applica a coloro che hanno avuto una
condanna per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di reati contro la PA.
E’ questa la indicazione contenuta nella deliberazione Anac n. 720/2021.
Siamo nell’ambito della disciplina dettata dall’articolo 416 del codice penale: “si tratta di un
reato associativo» in cui l’ipotesi concorsuale a carattere necessario per attuare gli scopi
criminosi è qualificata da un accordo consapevole tra più soggetti, per la realizzazione di
una serie indefinita di reati: i c.d. reati-fine o reati-scopo”. La inconferibilità fa riferimento ai reati commessi da pubblici ufficiali contro la PA: occorre comprendere in questo ambito
anche il reato associativo: non siamo in questo caso infatti in presenza di
un’interpretazione estensiva o analogica della norma, piuttosto una sua attuazione piena e
coerente. Invero, se non si applicasse tale previsione anche alle fattispecie
summenzionate, si verificherebbe una irrazionale contraddizione sistematica all’interno
dell’ordinamento e un vuoto di tutela dell’imparzialità dell’azione della Pubblica
Amministrazione. A sostegno delle conclusioni raggiunte, si precisa che il legislatore nel
richiamare i delitti contro la p.a. all’interno dell’art. 3 cit. intende riferirsi anche al delitto
associativo allorquando la programmazione criminosa, che lo ha contraddistinto e che è
stata accertata nella sentenza di condanna, si è rivolta proprio contro la medesima
categoria di delitti (contro la pubblica amministrazione) cui la legge ha collegato la clausola
di inconferibilità.