I dipendenti delle amministrazioni pubbliche non possono validamente lamentare un demansionamento per la loro mancata conferma in un incarico di posizione organizzativa. Possono essere così riassunte le principali indicazioni contenute nella sentenza della sezione lavoro della Corte di Cassazione n. 18561/2019, che fissa principi in parte innovativi.
Una prima indicazione assai rilevante è la seguente: “in tema di pubblico impiego privatizzato, l’art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, – nella formulazione anteriore alla novella di cui all’art. 62, comma 1, del d.lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 – assegna rilievo solo al criterio dell’equivalenza formale delle mansioni, con riferimento alla classificazione prevista in astratto dai contratti collettivi, indipendentemente dalla professionalità in concreto acquisita, senza che il giudice possa sindacare in concreto la natura equivalente della mansione, non potendosi aver riguardo alla norma generale di cui all’art. 2103 codice civile”.
La sentenza stabilisce, sulla scorta dei principi fissati dalla pronuncia della stessa sezione della Corte di Cassazione n. 6367/2015, che “in tema di lavoro pubblico negli enti locali, il conferimento di una posizione organizzativa non comporta l’inquadramento in una nuova categoria contrattuale ma unicamente l’attribuzione di una posizione di responsabilità, con correlato beneficio economico. Ne consegue che la revoca di tale posizione non costituisce demansionamento e non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 2103 cod. civ. e dell’art. 52, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, trovando applicazione il principio di turnazione degli incarichi, in forza del quale alla scadenza il dipendente resta inquadrato nella categoria di appartenenza, con il relativo trattamento economico”.