I dipendenti pubblici che svolgono attività lavorative per conto di altri soggetti e che non sono espressamente autorizzati dalla propria amministrazione devono versare al fondo per la contrattazione decentrata tutti i compensi ricevuti. Possono essere così riassunte le principali indicazioni contenute nella sentenza della Corte dei Conti, sezione di appello della Sicilia, n. 210 dello scorso 7 ottobre.

La materia è regolata dall’articolo 53 del DLgs n. 165/2001, nonché dagli articoli 60 e 65 del DPR n. 3/1957 e dall’articolo 1, comma 60, della legge n. 662/1996.

La sentenza ci dice in primo luogo che il dipendente pubblico non può svolgere attività lavorative, anche di natura autonoma, presso altre PA o per soggetti privati salva la possibilità di autorizzazione e che la stessa sia stata realmente concessa. Ed ancora che questo principio si applica sia nel caso in cui le prestazioni presso altre PA siano svolte “in regione di pubblico impiego che in regime di diritto privato”. Ed ancora che i compensi percepiti in violazione di tale principio vanno versati al bilancio dell’ente da cui si dipende e devono essere destinati al fondo per la contrattazione decentrata. Stabilisce inoltre il principio per cui il fatto che l’altra attività sia stata svolta per lungo tempo, che essa preesistesse all’atto della assunzione presso l’ente e che il dipendente abbia dichiarato espressamente e formalmente in tale circostanza che non sussistevano condizioni di incompatibilità, determinano indizi per ritenere che siamo in presenza di “un doloso occultamento del danno”.

La sanzione è la seguente: il dipendente “è obbligato a versare tutti gli emolumenti, a lui dovuti per tali attività, nel conto dell’entrata del bilancio dell’Amministrazione d’appartenenza, affinchè siano destinati ad incrementare il Fondo di Produttività o fondi equivalenti”.
La sentenza di appello ha aumentato la misura della sanzione, negando la riduzione che in via equitativa era stata disposta in primo grado.