Siamo ad una importante fase di passaggio nella utilizzazione dello smartworking nelle
PA: sono infatti annunciate rilevanti modifiche. Il giudizio del ministro Brunetta sulle
esperienze di lavoro agile in fase di emergenza che sono state fin qui realizzate nelle
pubbliche amministrazioni è molto netto: siamo in presenza di una realtà che “è senza
contratto, senza obiettivi, senza tecnologia. È lavoro a domicilio con uso di smartphone e
di pc di casa. È senza sicurezza poi, come abbiamo visto col caso del Lazio. È quindi un
lavoro a domicilio all’italiana.. lo smart working è stata la risposta emergenziale al
lockdown tenendo a casa di dipendenti pubblici. Si potevano mettere in Cig come è stato
fatto nel privato, invece si è preferito lo smart working. Idea intelligente, ma il lavoro agile
non ha affatto garantito i servizi pubblici essenziali, quelli li hanno garantiti i lavoratori della sanità, della sicurezza, della scuola. I lavoratori in smart working non hanno affatto
garantito questi servizi.. il lavoro da remoto ha funzionato durante il lockdown laddove era
già regolato, strutturato, con una piattaforma digitale già esistente”.
Il lavoro agile è disciplinato essenzialmente dalle leggi n. 124/2015 e n. 81/2017, con la
connessa direttiva del Dipartimento della Funzione Pubblica n. 3 del 26 giugno 2017. La
prima si applica sia nel settore privato che nel pubblico impiego; la seconda, che è stata
modificata dalla legge n. 56/2020, si applica nel pubblico impiego. Questo istituto, fino alla
pandemia da Covid-19, era scarsamente utilizzato dagli enti pubblici, così come in
precedenza non si era diffuso in modo significativo il telelavoro. Peraltro, solamente nel
2020 la fase introduttiva o sperimentale dell’applicazione di questa forma di lavoro è
giunta a compimento.