Il diritto di accesso per la difesa in giudizio prevale di norma su quello alla tutela della
privacy. In questa direzione vanno le indicazioni contenute nella sentenza della terza
sezione del Consiglio di Stato n. 6570/2020.
In primo luogo viene ricordato che “il giudizio di accesso – anche se si atteggia come
impugnatorio, essendo rivolto avverso il provvedimento di diniego o avverso il silenzio-
rigetto formatosi sulla relativa istanza -, ha per oggetto l’accertamento della spettanza o
meno del diritto medesimo, piuttosto che la verifica della sussistenza di vizi di legittimità
dell’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione”. Inoltre, sulla scorta della sentenza n. 3954/2020 della stessa sezione, viene chiarito che “è configurabile un interesse concreto, specifico ed attuale di un partecipante ad una procedura selettiva ad accedere ai relativi atti, e che tale pretesa deve trovare piena tutela senza che ad essa possano essere
opposte né l’impropria sovrapposizione di valutazioni circa le possibili future scelte
difensive dell’interessato, né la tutela della riservatezza”.

Inoltre, vi viene detto che “La qualificazione di tale interesse come difensivo, consente di superare anche la problematica relativa alla tutela della riservatezza dei pazienti.. Secondo la giurisprudenza consolidata in tema di accesso, le necessità difensive, riconducibili alla effettività della tutela di cui all’art. 24 Cost., debbano ritenersi prevalenti rispetto a quelle della riservatezza.

Deve essere altresì rilevato che l’applicazione di tale principio incontra ben determinati limiti allorché vengano in considerazione dati sensibili (origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, opinioni politiche, adesione a partiti, sindacati, etc.) o sensibilissimi, ossia i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale degli individui; in questi casi l’accesso è consentito a particolari condizioni, nello specifico disciplinate dall’art. 60 del D.Lgs. n. 196 del 2003..

Tale disposizione, riguardante in particolare il rapporto tra diritto di accesso e diritto alla riservatezza dei dati c.d. sensibilissimi, esprime dunque il principio del"pari rango", chiarendo in modo inequivoco che, in siffatte ipotesi, il diritto di accesso
può essere esercitato soltanto se, in seguito ad una delicata operazione di bilanciamento
di interessi, la situazione giuridica rilevante sottesa al diritto di accesso viene considerata
di rango almeno pari al diritto alla riservatezza riferito alla sfera della salute e della vita
sessuale dell’interessato…

Una simile comparazione tra diverse se non opposte esigenze
(accesso e riservatezza a dati sensibilissimi) va dunque effettuata non in astratto bensì in
concreto, sulla base dei principi di proporzionalità, pertinenza e non eccedenza”. Infine,
“anche nel caso in cui l’accesso potrebbe interferire con l’esigenza di tutela della
riservatezza di terzi, esso deve essere comunque garantito laddove la conoscenza del
documento sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici, ma ove il
documento contenga dati sensibili o giudiziari, l’accesso è consentito solo nei limiti in cui
sia strettamente indispensabile" (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. III quater, 16-04-2020, n. 3985;

T.A.R. Roma n. 5140/2017; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 gennaio 2020 n. 79)”.