Nelle previsioni della sentenza del Tribunale di Bari, sezione lavoro, 18 marzo 2019 n. 1214 il metodo che deve essere utilizzato “nelle controversie relative all’ inquadramento di un lavoratore subordinato” per stabilire se sono state svolte mansioni superiori è basato sulla prova che deve essere fornita dal dipendente. La sentenza si riferisce ad un contenzioso nato nel comparto sanità, ma detta una serie di principi di carattere generale assai importanti.

La prima indicazione è la seguente: “secondo la giurisprudenza di legittimità il giudice deve seguire un procedimento in tre fasi successive ovvero:

  • accertamento in fatto delle attività lavorative concretamente svolte dal dipendente;
  • individiduazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria;
  • raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda”.

La seconda indicazione è la seguente: “il lavoratore che agisca in giudizio per ottenere l’inquadramento in una qualifica superiore ha l’onere di allegare e di provare gli elementi posti a base della domanda e, in particolare, è tenuto ad indicare esplicitamente quali siano i profili caratterizzanti le mansioni di detta qualifica raffrontandoli altresì espressamente con quelli concernenti le mansioni che egli deduce di avere concretamente svolto. In sostanza, il lavoratore che rivendica nei confronti del datore di lavoro una qualifica professionale superiore in relazione alle mansioni svolte ha l’onere di dimostrare la natura ed il periodo di tempo durante il quale le mansioni sono state svolte, il contenuto delle disposizioni individuali, collettive o legali in forza delle quali la superiore rivendicata, la coincidenza delle mansioni svolte con quelle descritte dalla norma individuale, collettiva o legale”.